Così come stabilito dalla
conferenza dei capigruppo di Montecitorio, il disegno di legge di riforma
elettorale sarà esaminato dall’Aula della Camera il 27 gennaio prossimo.
Visti i precedenti, sempre
oscillanti tra il far nulla ed il far peggio, resta forte il timore che anche
la terza riforma dopo l’abbandono del proporzionale puro della Prima
Repubblica, non risolva granché: basti pensare che da una legge sbagliata quale
era il Mattarellum s’era passati ad una riforma ancora peggiore con il
Porcellum.
Fiumi d’inchiostro sono stati
spesi per elencare i difetti e le storture delle suddette leggi, specialmente
la seconda, per fortuna riformata dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Sulla necessità di intervenire, quindi, nulla quaestio, anche se le premesse,
cioè le tre proposte di Renzi, non convincono del tutto. O per niente.
Esaminiamole.
I.
SISTEMA SPAGNOLO
L’originale è un sistema
proporzionale con effetti maggioritari dovuti essenzialmente alla divisione del
territorio in circoscrizioni molto piccole, che eleggono in media sette
deputati, in molti casi da due a cinque, solo in sette circoscrizioni oltre
dieci seggi, tra cui Madrid (36) e Barcellona (31).
L’alto numero delle
circoscrizioni corregge l’effetto proporzionale, tutela il bipolarismo (ma solo
se già esistente) e favorisce i partiti maggiori e quelli la cui rappresentanza
è forte a livello territoriale.
I dubbi sull’applicazione del
modello spagnolo alla situazione attuale italiana sono tuttavia molteplici.
Come già detto, è un sistema che
garantisce governabilità solo in presenza di bipolarismo già consolidato.
Difficilmente sarebbe altrettanto efficiente in presenza di tre schieramenti,
più o meno equivalenti, così come si è delineato in Italia dopo le ultime elezioni,
e ciò neanche se consideriamo il premio di maggioranza previsto dalla proposta
di Renzi.
In secondo luogo, tale sistema,
favorendo i partiti ed i movimenti radicati in aree territoriali circoscritte,
finirebbe per portare in Parlamento una serie numerosa di liste territoriali
portatrici di interessi particolari, poco inclini a pensare allo sviluppo del
Paese considerato nella sua unità ed interezza, rendendo ancora più difficile il
già complicato compito di governare.
II.
MATTARELLUM CORRETTO
Delle tre, quella del Mattarellum
corretto, è la proposta più vaga che, comunque, non risolve i problemi a suo
tempo riscontrati con l’applicazione dell’uninominale del 1993.
La proposta di Renzi prevede 475
collegi uninominali, mentre il 25% dei seggi restanti verrebbe così ripartito:
premio di maggioranza del 15% e diritto di tribuna pari al 10% del totale dei
collegi concesso ai partiti più piccoli.
A parte i dubbi sul premio di maggioranza previsto in un sistema già maggioritario (con
l’uninominale a turno unico chi prende un voto in più degli altri, senza che
sia necessario il raggiungimento di una soglia minima, prende tutta la posta,
cioè il seggio), il nuovo Mattarellum così corretto non rimedia al vero problema
che ha impedito al vecchio di funzionare.
L’efficacia riduttiva di un
sistema uninominale si dispiega collegio per collegio, ragion per cui se per
esempio abbiamo duecento collegi ed in ciascuno vince un candidato di un partito
che vince solo lì, avremo un Parlamento con duecento partiti diversi, con tanti
saluti a chi crede che sia sufficiente applicare il maggioritario per avere un
sistema bipartitico.
In realtà, l’uninominale produce
un sistema bipartitico a livello nazionale, se e solo se gli stessi due
partiti sono i soli in grado di vincere
in tutti i collegi, condizione che in Italia è lontanissima dal realizzarsi.
In un sistema tripolare come il
nostro, invece, con tre partiti tra il 25-30% in grado di vincere in ciascuna
circoscrizione , nessuno dei tre, quasi sicuramente, otterrebbe la maggioranza
dei seggi.
C’è inoltre un terzo problema,
forse il più evidente, che ha impedito, in un sistema politico frammentato come
il nostro, al vecchio Mattarellum di funzionare e che farà lo stesso con quello
corretto di Renzi.
Tra il 1993 ed il 2005, nessuna
delle forze politiche maggiori (FI, PDS-DS) era in grado di vincere da
sola in quasi nessun collegio. Così, per non perdere, Forza Italia nel 1994
dovette fare due coalizioni, una al nord, una nel meridione, l’Ulivo del 1998
dovette imbarcare Rifondazione, Verdi, Popolari, Segni, ecc. ecc…, l’Unione del
2006 addirittura 15 partiti e partitini (DS, Margherita, IVD, Rosa nel Pugno,
Verdi, PdCI, Rifondazione Comunista, UDEUR, Socialisti Uniti, Democratici
Cristiani Uniti, Pensionati, Sudtiroler, Mov. Repubblicani Europei, Italia di
Mezzo, PSDI).
Così facendo, i grandi partiti
sono rimasti ostaggi dei partitini che, controllando in parecchi collegi i voti
marginali (con i quali si può vincere, ma senza i quali si perde sicuramente),
riuscivano a far eleggere i propri rappresentanti con i voti delle forze
maggiori.
Il risultato è stato che invece
di due coalizioni abbiamo avuto in Parlamento dei meri cartelli elettorali
formati da tanti partiti così disomogenei tra loro da non costituire vere e
proprie maggioranze e da impedire di fatto di governare.
In conclusione, al di la del poco
ragionevole premio di maggioranza, se il nuovo Mattarellum corretto continuasse
a prevedere il monoturno ci ritroveremmo con gli stessi problemi di
ingovernabilità del passato.
III.
SINDACO D’ITALIA E DOPPIO TURNO DI COALIZIONE
(SIC!)
Prima di esaminare tale modello, occorre innanzitutto una precisazione: fare riferimento al
Sindaco d’Italia è terminologicamente e sostanzialmente errato. L’introduzione
del Sindaco d’Italia richiederebbe l’adozione del procedimento di revisione
costituzionale, perché si sostanzia in una modifica della forma di governo
dovuta all’elezione diretta del Premier.
Per fortuna, la proposta di
Matteo Renzi non arriva a tanto, limitandosi a prevedere l’introduzione del
meccanismo di elezione dei componenti dei consigli comunali.
Il sistema proposto potrebbe
essere definito come una sorta di doppio turno all’italiana, cioè di coalizione,
che, come già visto per il Mattarellum, finirebbe per riproporre gli stessi
inconvenienti di quest’ultimo, seppur in misura minore.
I grandi partiti, infatti, pur di
arrivare al secondo turno, sarebbero costretti ad imbarcare nella coalizione quante più liste possibile, dando vita anche in
questo caso ad ammucchiate con cui è difficile governare.
Riusciremmo in questo caso, dopo
aver proporzionalizzato l’uninominale con il Mattarellum, a proporzionalizzare
anche il doppio turno.
Quello che sfugge ai nostri
politici è che il doppio turno funziona se e solo se al primo ogni partito si
presenta da solo e non in coalizione.
IV.
CONCLUSIONI
A mio parere non esiste un
sistema elettorale migliore di altri, ma sistemi elettorali che meglio si
adattano e funzionano a seconda del sistema politico sul quale agiscono e in
base agli obiettivi che si vogliono realizzare.
In un sistema politico
frammentato come il nostro, se gli obiettivi da raggiungere sono la
governabilità, la semplificazione e la libera scelta da parte dei cittadini,
resto dell’idea che il metodo elettorale migliore sia il doppio turno (non
quello dei Sindaci, però), a patto che al primo turno ogni partito si presenti
da solo con il proprio simbolo e non in coalizione.
Il doppio turno consente
all’elettore, al primo turno, la stessa libertà di scelta che gli dà il sistema
proporzionale, mentre al secondo, che si solito si svolge due settimane più
tardi, il cittadino sarà indotto ad esprimere un voto strategico incentrato sui
possibili vincitori.
In sostanza il primo turno, che
rappresenta una selezione e non una elezione (a meno che un candidato non
consegua immediatamente la maggioranza assoluta), è l’equivalente funzionale
delle primarie, sostanziandosi nello scegliere i candidati maggiormente
preferiti dalla maggior parte degli elettori.
Ora non ci resta che aspettare di
conoscere il frutto della piena sintonia raggiunta ieri da PD e FI, anche se dalle
prime indiscrezioni pare che la montagna abbia partorito un topolino, un’intesa
al ribasso.
Antonio Zurlo
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