domenica 19 gennaio 2014

Legge elettorale: le proposte di Renzi convincono poco

Così come stabilito dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio, il disegno di legge di riforma elettorale sarà esaminato dall’Aula della Camera il 27 gennaio prossimo.
Visti i precedenti, sempre oscillanti tra il far nulla ed il far peggio, resta forte il timore che anche la terza riforma dopo l’abbandono del proporzionale puro della Prima Repubblica, non risolva granché: basti pensare che da una legge sbagliata quale era il Mattarellum s’era passati ad una riforma ancora peggiore con il Porcellum.
Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per elencare i difetti e le storture delle suddette leggi, specialmente la seconda, per fortuna riformata dalla sentenza della Corte Costituzionale. Sulla necessità di intervenire, quindi, nulla quaestio, anche se le premesse, cioè le tre proposte di Renzi, non convincono del tutto. O per niente. Esaminiamole.
I.                    SISTEMA SPAGNOLO
L’originale è un sistema proporzionale con effetti maggioritari dovuti essenzialmente alla divisione del territorio in circoscrizioni molto piccole, che eleggono in media sette deputati, in molti casi da due a cinque, solo in sette circoscrizioni oltre dieci seggi, tra cui Madrid (36) e Barcellona (31).
L’alto numero delle circoscrizioni corregge l’effetto proporzionale, tutela il bipolarismo (ma solo se già esistente) e favorisce i partiti maggiori e quelli la cui rappresentanza è forte a livello territoriale.
I dubbi sull’applicazione del modello spagnolo alla situazione attuale italiana sono tuttavia molteplici.
Come già detto, è un sistema che garantisce governabilità solo in presenza di bipolarismo già consolidato. Difficilmente sarebbe altrettanto efficiente in presenza di tre schieramenti, più o meno equivalenti, così come si è delineato in Italia dopo le ultime elezioni, e ciò neanche se consideriamo il premio di maggioranza previsto dalla proposta di Renzi.
In secondo luogo, tale sistema, favorendo i partiti ed i movimenti radicati in aree territoriali circoscritte, finirebbe per portare in Parlamento una serie numerosa di liste territoriali portatrici di interessi particolari, poco inclini a pensare allo sviluppo del Paese considerato nella sua unità ed interezza, rendendo ancora più difficile il già complicato compito di governare.
II.                  MATTARELLUM CORRETTO
Delle tre, quella del Mattarellum corretto, è la proposta più vaga che, comunque, non risolve i problemi a suo tempo riscontrati con l’applicazione dell’uninominale del 1993.
La proposta di Renzi prevede 475 collegi uninominali, mentre il 25% dei seggi restanti verrebbe così ripartito: premio di maggioranza del 15% e diritto di tribuna pari al 10% del totale dei collegi concesso ai  partiti più piccoli.
A parte i dubbi sul premio di maggioranza previsto in un sistema già maggioritario (con l’uninominale a turno unico chi prende un voto in più degli altri, senza che sia necessario il raggiungimento di una soglia minima, prende tutta la posta, cioè il seggio), il nuovo Mattarellum così corretto non rimedia al vero problema che ha impedito al vecchio di funzionare.
L’efficacia riduttiva di un sistema uninominale si dispiega collegio per collegio, ragion per cui se per esempio abbiamo duecento collegi ed in ciascuno vince un candidato di un partito che vince solo lì, avremo un Parlamento con duecento partiti diversi, con tanti saluti a chi crede che sia sufficiente applicare il maggioritario per avere un sistema bipartitico.
In realtà, l’uninominale produce un sistema bipartitico a livello nazionale, se e solo se gli stessi due partiti  sono i soli in grado di vincere in tutti i collegi, condizione che in Italia è lontanissima dal realizzarsi.
In un sistema tripolare come il nostro, invece, con tre partiti tra il 25-30% in grado di vincere in ciascuna circoscrizione , nessuno dei tre, quasi sicuramente, otterrebbe la maggioranza dei seggi.
C’è inoltre un terzo problema, forse il più evidente, che ha impedito, in un sistema politico frammentato come il nostro, al vecchio Mattarellum di funzionare e che farà lo stesso con quello corretto di Renzi.
Tra il 1993 ed il 2005, nessuna delle forze politiche maggiori (FI, PDS-DS) era in grado di vincere da sola in quasi nessun collegio. Così, per non perdere, Forza Italia nel 1994 dovette fare due coalizioni, una al nord, una nel meridione, l’Ulivo del 1998 dovette imbarcare Rifondazione, Verdi, Popolari, Segni, ecc. ecc…, l’Unione del 2006 addirittura 15 partiti e partitini (DS, Margherita, IVD, Rosa nel Pugno, Verdi, PdCI, Rifondazione Comunista, UDEUR, Socialisti Uniti, Democratici Cristiani Uniti, Pensionati, Sudtiroler, Mov. Repubblicani Europei, Italia di Mezzo, PSDI).
Così facendo, i grandi partiti sono rimasti ostaggi dei partitini che, controllando in parecchi collegi i voti marginali (con i quali si può vincere, ma senza i quali si perde sicuramente), riuscivano a far eleggere i propri rappresentanti con i voti delle forze maggiori.
Il risultato è stato che invece di due coalizioni abbiamo avuto in Parlamento dei meri cartelli elettorali formati da tanti partiti così disomogenei tra loro da non costituire vere e proprie maggioranze e da impedire di fatto di governare.
In conclusione, al di la del poco ragionevole premio di maggioranza, se il nuovo Mattarellum corretto continuasse a prevedere il monoturno ci ritroveremmo con gli stessi problemi di ingovernabilità del passato.
III.                SINDACO D’ITALIA E DOPPIO TURNO DI COALIZIONE (SIC!)
Prima di esaminare tale modello, occorre innanzitutto una precisazione: fare riferimento al Sindaco d’Italia è terminologicamente e sostanzialmente errato. L’introduzione del Sindaco d’Italia richiederebbe l’adozione del procedimento di revisione costituzionale, perché si sostanzia in una modifica della forma di governo dovuta all’elezione diretta del Premier.
Per fortuna, la proposta di Matteo Renzi non arriva a tanto, limitandosi a prevedere l’introduzione del meccanismo di elezione dei componenti dei consigli comunali.
Il sistema proposto potrebbe essere definito come una sorta di doppio turno all’italiana, cioè di coalizione, che, come  già visto per il Mattarellum, finirebbe per riproporre gli stessi inconvenienti di quest’ultimo, seppur in misura minore.
I grandi partiti, infatti, pur di arrivare al secondo turno, sarebbero costretti ad imbarcare nella coalizione quante più liste possibile, dando vita anche in questo caso ad ammucchiate con cui è difficile governare.
Riusciremmo in questo caso, dopo aver proporzionalizzato l’uninominale con il Mattarellum, a proporzionalizzare anche il doppio turno.
Quello che sfugge ai nostri politici è che il doppio turno funziona se e solo se al primo ogni partito si presenta da solo e non in coalizione.
IV.                CONCLUSIONI
A mio parere non esiste un sistema elettorale migliore di altri, ma sistemi elettorali che meglio si adattano e funzionano a seconda del sistema politico sul quale agiscono e in base agli obiettivi che si vogliono realizzare.
In un sistema politico frammentato come il nostro, se gli obiettivi da raggiungere sono la governabilità, la semplificazione e la libera scelta da parte dei cittadini, resto dell’idea che il metodo elettorale migliore sia il doppio turno (non quello dei Sindaci, però), a patto che al primo turno ogni partito si presenti da solo con il proprio simbolo e non in coalizione.
Il doppio turno consente all’elettore, al primo turno, la stessa libertà di scelta che gli dà il sistema proporzionale, mentre al secondo, che si solito si svolge due settimane più tardi, il cittadino sarà indotto ad esprimere un voto strategico incentrato sui possibili vincitori.
In sostanza il primo turno, che rappresenta una selezione e non una elezione (a meno che un candidato non consegua immediatamente la maggioranza assoluta), è l’equivalente funzionale delle primarie, sostanziandosi nello scegliere i candidati maggiormente preferiti dalla maggior parte degli elettori.

Ora non ci resta che aspettare di conoscere il frutto della piena sintonia raggiunta ieri da PD e FI, anche se dalle prime indiscrezioni pare che la montagna abbia partorito un topolino, un’intesa al ribasso.
Antonio Zurlo

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