lunedì 8 aprile 2013

Aspettando Godot il Paese muore


Sono passati quasi due mesi dalle elezioni e tutto è ancora fermo a quel ventisei febbraio.
La nostra classe politica, impantanata in un immobilismo strategico che non serve ad nessuno, continua a rifiutarsi di prendere atto del responso elettorale ed impegnarsi con buon senso per dare ai cittadini pochi ma chiari segnali di cambiamento e ripresa (riforma elettorale, costi della politica e misure anticrisi).
Aspettando un governo che non arriva, che tutti chiedono ma ognuno vuole solo se vantaggioso alla propria bottega, tra complessi di superiorità e propaganda a fini prescrizionali, la pressione fiscale è 52%, la disoccupazione giovanile è a livelli mai visti e la gente si toglie la vita perché non riesce più a tirare a campare.
In questa eterna campagna elettorale, hanno avuto perfino l’ardire di criticare Napolitano per la nomina dei 10 saggi, come se dipendesse dal Capo dello Stato, sprovvisto anche del potere di scioglimento delle Camere, la mancata formazione di un governo.
Nel teatrino dell’assurdo della politica italiana, gli stessi segnali di apertura intravisti negli ultimi giorni non sono certamente nati dalla consapevolezza della difficile situazione in cui versa l’Italia.
Come Estragone e Vladimiro nell’opera di Beckett, la vecchia dirigenza PD ed il PDL, cioè Berlusconi, pur azzuffandosi e dividendosi su tutto (niente?), alla fine restano l’uno dipendente dall’altro.
Così, pur di non essere messi alle corde dalla possibile (e probabile) ascesa di Renzi, tentano, con confusionari alti e bassi, la strada dell’intesa per l’elezione del Capo dello Stato e per la formazione del Governo.
Agli otto punti di Bersani, se ne sono aggiunti altri otto di Berlusconi, diventando sedici. Sarebbe un miracolo un accordo sulla sola legge elettorale e sul Presidente della Repubblica.
Nel frattempo, aspettando Godot, il Paese va a rotoli.

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