Sono passati quasi due mesi dalle
elezioni e tutto è ancora fermo a quel ventisei febbraio.
La nostra classe politica,
impantanata in un immobilismo strategico che non serve ad nessuno, continua a
rifiutarsi di prendere atto del responso elettorale ed impegnarsi con buon
senso per dare ai cittadini pochi ma chiari segnali di cambiamento e ripresa
(riforma elettorale, costi della politica e misure anticrisi).
Aspettando un governo che non
arriva, che tutti chiedono ma ognuno vuole solo se vantaggioso alla propria
bottega, tra complessi di superiorità e propaganda a fini prescrizionali, la
pressione fiscale è 52%, la disoccupazione giovanile è a livelli mai visti e la
gente si toglie la vita perché non riesce più a tirare a campare.
In questa eterna campagna
elettorale, hanno avuto perfino l’ardire di criticare Napolitano per la nomina dei 10
saggi, come se dipendesse dal Capo dello Stato, sprovvisto anche del potere di
scioglimento delle Camere, la mancata formazione di un governo.
Nel teatrino dell’assurdo della
politica italiana, gli stessi segnali di apertura intravisti negli ultimi
giorni non sono certamente nati dalla consapevolezza della difficile situazione
in cui versa l’Italia.
Come Estragone e Vladimiro
nell’opera di Beckett, la vecchia dirigenza PD ed il PDL, cioè Berlusconi, pur azzuffandosi
e dividendosi su tutto (niente?), alla fine restano l’uno dipendente
dall’altro.
Così, pur di non essere messi
alle corde dalla possibile (e probabile) ascesa di Renzi, tentano, con confusionari alti e
bassi, la strada dell’intesa per l’elezione del Capo dello Stato e per la
formazione del Governo.
Agli otto punti di Bersani, se ne
sono aggiunti altri otto di Berlusconi, diventando sedici. Sarebbe un miracolo un
accordo sulla sola legge elettorale e sul Presidente della Repubblica.
Nel frattempo, aspettando Godot,
il Paese va a rotoli.
Nessun commento:
Posta un commento