martedì 22 gennaio 2013

Riforma istituzionale e sistema politico: una questione ancora aperta

Nonostante i numerosi e ripetuti richiami del Capo dello Stato, impegnato sino all’ultimo ad evitare una nuova tornata elettorale all’insegna del c.d. porcellum, il nuovo Parlamento sarà eletto con la legge Calderoli del 2005. I parlamentari uscenti, a dispetto di tanti proclami, non hanno saputo (o voluto) elaborare ed approvare quelle riforme istituzionali o soltanto elettorali necessarie ed urgenti per ammodernare il nostro sistema politico e per assicurare al Paese governabilità ed efficienza.
Questo articolo si propone di esaminare, in breve e senza la pretesa di essere esaustivo, il sistema politico-istituzionale italiano mettendolo a confronto, in un’ottica de iure condendo, con i sistemi parlamentari generalmente ritenuti come modelli di riferimento, quello inglese e quello tedesco.
Lo scopo è evidenziare l’importanza del rapporto tra sistema istituzionale e sistema dei partiti – considerati, aimè, a volte come sinonimi, altre come variabili tra loro indipendenti – nell’individuazione di una strada percorribile ed utile alla razionalizzazione del nostro modello parlamentare.
Premessa. Il sistema di governo parlamentare dipende principalmente da due presupposti: il sistema elettorale e il sistema partitico che ne deriva.
I sistemi elettorali traducono i voti in seggi, determinando in tal modo la natura del sistema partitico. Pertanto, la scelta del sistema elettorale dovrebbe essere guidata dall’intento di realizzare un sistema di partiti funzionale e funzionante.
Il fine generalmente condiviso e perseguito è costruire un sistema che produca stabilità e governabilità, cioè governi che durino nel tempo, ma che siano soprattutto efficienti. La sola stabilità non basta: un governo può essere stabile, cioè durare un’intera legislatura, ma allo stesso tempo non efficiente, se, per esempio, formato da più partiti tra loro disomogenei che rallentino o addirittura impediscano il processo decisionale.
Modello parlamentare italiano. Imperniati sul bicameralismo perfetto, sul proporzionale puro e sulla presenza di un partito a vocazione non governativa, il sistema politico della Prima Repubblica ed il suo modello parlamentare sono stati caratterizzati da una elevata instabilità governativa, da una notevole stabilità politica (coalizioni di maggioranza formate dagli stessi cinque partiti) e da una considerevole continuità delle politiche di governo, dovuta soprattutto all’assenza di alternanza al governo del Paese. Considerate tali condizioni politiche, può dirsi che dal punto di vista istituzionale il modello parlamentare di governo ha funzionato in maniera soddisfacente e secondo le aspettative. Il crollo della Prima repubblica è da attribuire più all’esaurirsi della capacità di rappresentanza e di governo dei singoli partiti e del sistema partitico nel suo complesso che all’imperfezione del modello parlamentare adottato.
Il passaggio alla Seconda repubblica ha portato conseguenze soprattutto nel sistema partitico e nei modelli elettorali adottati, meno nell’architettura costituzionale, rimasta sostanzialmente la stessa.
La mutata situazione internazionale, la caduta del muro di Berlino ed il conseguente venir meno della necessità di mantenere l’unità politica dei cattolici in funzione anticomunista, ha reso possibile anche in Italia l’instaurazione di un sistema di alternanza tra governi di centro-destra e governi di centrosinistra. Ciò nonostante, tutto è stato complicato dall’adozione di sistemi elettorali che, generando spesso instabilità e quasi sempre ingovernabilità ed immobilismo, non hanno certamente aiutato il consolidamento del neonato sistema bipolare.
Il modello parlamentare inglese: il Premierato. Prima di esaminare l’esempio inglese e quello tedesco, va chiarito un punto: sino ad oggi, fatta eccezione per l’esperienza israeliana (già conclusa), nessun premierato o cancellierato poggia sull’elezione diretta del Capo del governo.
In Inghilterra, il cui sistema è caratterizzato da semplicità, limpidità e trasparenza, il premier non scaturisce da un’elezione, né diretta, né “indiretta” da parte del popolo. Il premierato inglese funziona perché il sistema è bipartitico ed  i governi monopartitici. Sono queste le premesse dalle quali discende che il leader del partito che vince le elezioni diventa automaticamente primo ministro.
Essendo un sistema parlamentare, anche in Inghilterra, a differenza di quel che pensano in molti, il Primo ministro può essere sostituito in corso d’opera dal Parlamento ed in particolare dal gruppo parlamentare del suo partito (come avvenuto con Eden, Tatcher, Heath, MacMillan, Callaghan, Blair).
Quello che conta per capire davvero quali sono e come funzionano i poteri del Primo ministro inglese è il sistema partitico, cioè il bipartitismo. È la persistenza del bipartitismo il segreto della forma inglese di governo. Per questo non si comprende come si possa, tenendo conto di tutte le principali condizioni costitutive di questo modello, pensare di imitare, proporre e congegnare un premierato all’inglese anche in Italia.
Cancellierato tedesco. Discorso analogo vale per il sistema tedesco, dove il Capo del governo è eletto dal Bundestag, e dove la Costituzione ne ha previsto la sostituibilità mediante un voto di sfiducia costruttivo. Se il cancelliere tedesco è prevedibile quanto il premier inglese, è in ragione del sistema partitico esistente. Caratterizzato da due partiti maggiori intorno al 40% dei consensi e due partiti minori intorno al 10%, la guida del governo spetta, in virtù del principio della leadership, al capo del partito dominante della coalizione vincente.
Pertanto, l’autorità politico-istituzionale del Cancellierato tedesco deriva non solo e non tanto dal sistema istituzionale (che pure fornisce un apporto di notevole rilievo), quanto più concretamente dal sistema elettorale. È la rappresentanza proporzionale con due clausole di sbarramento per l’accesso al Parlamento che ha impedito la frammentazione dei partiti, storicamente radicata nell’esperienza elettorale tedesca, ed ha contribuito in maniera decisiva a dare efficienza al sistema.
In entrambi i casi, nonostante l’autorevolezza ottenuta dall’investitura maggioritaria in sede parlamentare, il Primo ministro non è sottratto da eventuali tentativi di sostituzione. Anzi, nel caso del modello di governo tedesco, è stata addirittura prevista la possibilità di sostituzione del Cancelliere e della maggioranza di governo, eventualità rigorosamente regolamentata con il meccanismo del voto di sfiducia costruttivo.
In tale contesto, lo scioglimento anticipato del Parlamento è considerata l’extrema ratio.
Appare chiaro, quindi, che è l’interazione fra gli elementi istituzionali e il sistema dei partiti che consente e facilita il conseguimento della necessaria stabilità, dell’efficienza decisionale e dell’eventuale cambio di governo in un equilibrato contemperamento di flessibilità e rigidità.
Il dibattito italiano sulla riforma. Nonostante siano questi i modelli di riferimento, il dibattito italiano continua ad essere incentrato sull’elezione diretta o quasi diretta del premier, sul rafforzamento dei suoi poteri, sull’introduzione di meccanismi anti-ribaltone e di immediato ritorno al voto in caso di mutamento delle maggioranze.
L’errore generalmente presente nelle discussioni che in Italia accompagnano il tema della riforma del sistema politico è proprio quello di concentrarsi sulle modalità di formazione e funzionamento dell’esecutivo senza tener conto del sistema dei partiti e del sistema elettorale esistente.
Quello che sembra sfuggire ad alcuni dei nostri politici è che il rafforzamento dei poteri del Primo ministro costituisce l’esito di un processo correttamente congegnato e attuato e non l’elemento da cui partire per la costruzione di un governo stabile ed efficiente.
In merito all’elezione diretta, va detto che l’unica, peraltro già conclusa, esperienza di scelta popolare diretta del Primo ministro, accompagnata dal meccanismo del  simul stabunt simul cadent che coinvolge e travolge il Parlamento nella crisi politica e funzionale del Primo ministro, è quella israeliana. Ma in nessuna delle tre occasioni nelle quali è stata attuata, l’elezione diretta popolare del Primo ministro ha garantito la stabilità del Parlamento, né ha prodotto e migliorato l’efficienza decisionale.
La rigidità istituzionale, infatti, rischia di far oscillare il sistema fra una crisi sistemica ed una paralisi altrettanto sistemica. Invece, la flessibilità, oltre ad essere costitutiva dei modelli parlamentari di governo, è, a determinate condizioni, un meccanismo riequilibratore che mantiene in funzione il sistema politico. Ricercare questo meccanismo riequilibratore sempre e comunque in elezioni ripetute e frequenti comporta il serio rischio di logoramento del sistema politico e della sua democrazia, se non altro perché sotto elezione i governi, in clima di campagna elettorale, tendono a rinviare tutte le decisioni impopolari, anche se necessarie ed urgenti.
Dall’altro lato l’accoppiata elezione diretta e deterrenza elettorale ferisce al cuore il meccanismo che costituisce la ragion d’essere e il pregio dei sistemi parlamentari: quello di essere sistemi flessibili che si autoriparano, che rimediano ai loro incidenti di percorso.
La priorità rimane, pertanto, operare sul sistema elettorale e, di conseguenza, sul sistema dei partiti. Su quest’ultima considerazione occorre chiarire alcuni punti: innanzitutto,  non esiste un sistema elettorale a prescindere migliore di altri; esistono, questo sì, sistemi elettorali che meglio si adattano e che sono più congeniali al sistema politico nel quale vanno ad inserirsi.
In secondo luogo,  contrariamente a quanto pensavano (e pensano) i nostri referendari del ’94, un sistema bipolare non richiede necessariamente un sistema maggioritario a turno unico.
Quasi tutti i Paesi dell’Europa Occidentale (fatta eccezione per Inghilterra e Francia) sono proporzionalisti e bipolari. Inoltre, come abbiamo visto in Italia con il Mattarellum, un sistema uninominale a un turno innestato su un preesistente pluripartitismo non riduce ma moltiplica i partiti perché si fonda sul ricatto di quelli più piccoli sui più grandi, impedendo la formazione di governi efficienti.
L’esempio del Mattarellum non ha tuttavia impedito ai partiti italiani, troppo spesso guidati unicamente delle proprie convenienze elettorali, di sostituire l’uninominale con un sistema, il porcellum, che, oltre ad essere ugualmente inefficace, ha altresì generato molte storture e altrettante inefficienze (parlamentari nominati, pluralità di premi di maggioranza al Senato che garantiscono la perfetta parità o quasi tra le coalizioni, premio di maggioranza alla Camera senza previsione di soglie minime, ecc. ecc.).
Prospettive di riforma. Il problema italiano continua ad essere, dunque, la presenza di un modello elettorale imperfetto ed inadeguato. Stante la persistente frammentarietà del sistema politico, sarebbe meglio un sistema maggioritario a doppio turno (Francia) o una proporzionale ben sbarrata o fondata su circoscrizioni molto piccole (Germania o Spagna) che il ritorno al Mattarellum.
Chi scrive ritiene più adatto alla situazione italiana l’introduzione di un modello simile a quello francese. Si garantirebbe in tal modo la riduzione del numero dei partiti in Parlamento e la scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentanti.
Fatto questo, invece di perdersi in elaborazione di riforme volte a mutare del tutto il nostro sistema istituzionale ed introdurre forme di governo per le quali non siamo, forse, ancora maturi (parlo del Semipresidenzialismo o addirittura del Presidenzialismo), si potrebbe procedere a razionalizzare il nostro sistema parlamentare attraverso, solo per fare alcuni esempi, la riduzione del numero dei parlamentari, l’abbandono del bicameralismo perfetto e la realizzazione del Senato delle Regioni o delle autonomie.
Nonostante negli ultimi vent’anni in materia di riforme delle istituzioni l’alternativa è stata tra il far male o il far nulla, continuiamo a nutrire la speranza che i nostri politici ed in particolare il prossimo Parlamento possano dare risposte anche su questi temi, per il bene del Paese e della nostra democrazia.

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